Museo dei dolmen. 3200 anni fa la grande siccità padana che distrusse la civiltà terremaricola. I geo-archeologi spiegano il perchè

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Milano, 14 lug. (Stile Arte) - Un interessante articolo pubblicato in questi giorni da La Statale news, organo di informazione dell’università milanese, legge, in un rapporto prospettico, l’allarme siccità che sta interessando in queste settimane la Pianura Padana, indagando una situazione assolutamente parallela che si verificò 3200 anni nelle stesse aree e che risulta ben testimoniata dalla Terramara Santa Rosa di Poviglio, in provincia di Reggio Emilia, che da anni vede impegnati i geoarcheologi del dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”, guidati dal professor Andrea Zerboni.

Le terramare erano villaggi dell’età del bronzo media e recente (ca 1650-1150 a.C.) appartenenti a una civiltà sviluppatasi nelle aree di pianura dell’Emilia e nelle zone meridionali delle province di Cremona, Mantova e Verona.

Il nome Terramara deriva da terra marna, termine utilizzato dagli agronomi del XIX secolo per designare il terriccio fertilizzante che si ricavava dai depositi archeologici pluristratificati risalenti all’età del Bronzo.

Il motivo principale che determinò questa progressiva colonizzazione della pianura, precedentemente scarsamente abitata e occupata da una estesa foresta planiziaria, fu un generalizzato aumento demografico e probabilmente un’oscillazione delle condizioni climatiche verso un clima più fresco ed umido che favoriva l’agricoltura. I villaggi delle terramare si sviluppavano mediamente su 2 ettari di terreno, sorgevano su un terrapieno circondato da una fossa d’acqua derivata da un fiume. Le case, in legno, erano discoste secondo un disegno ordinato, con vie che si incrociavano in modo ortogonale.

Gli edifici erano realizzati su pali – come le palafitte – ma su terreno secco. Ciò che emerge dall’intervista è che questa civiltà entrò in crisi perchè trascinata da una sorta di compulsione produttiva, che tendeva, all’interno di un pensiero positivo, a ritenere che le condizioni climatiche non potessero mutare. Non ci fu pertanto un investimento progettuale nei confronti di invasi che potessero trattenere le acque.

Da: www.stilearte.it/

Autore foto: P.Burtenshaw