Imprenditori turistici italiani, i tre errori che possono mandarli in fallimento

Roma, 18 ago. (Federico Bardanzellu, InLibertà) - Imprenditori turistici italiani. Nell’articolo precedente abbiamo tentato di capire quale sia veramente la situazione attuale del settore turistico in Italia. I pareri oscillano tra due contrastanti affermazioni. Quella secondo cui il turismo è il vero tesoro dell’economia italiana. Tanto che in alcune situazioni può generare fenomeni di overtourism. E quella secondo cui gli operatori del settore, soprattutto quello balneare, stiano attraversando una crisi senza precedenti.

I dati ci hanno indicato senza alcun dubbio che la prima affermazione sia abbastanza ottimistica. Al contrario, il trend pluridecennale attesta che in Italia il settore turistico è investito da un costante declino. Quali le motivazioni?

Imprenditori turistici italiani, Briatore è convinto della loro mancanza di professionalità
Uno dei nostri più importanti operatori, Flavio Briatore è assolutamente convinto dell’inadeguatezza del nostro turismo, in termini di professionalità. In tal senso è lapidario: «L’Italia ha 7.000 km di coste, mentre la Francia ne ha 3.200. Ebbene, noi abbiamo 150.000 posti barca, mentre la Francia ne ha 450.000». Prosegue poi, ancor più duro: «Per elevare il turismo servono gli alberghi, non la pensione Mariuccia!».

Il sito “I sarti del web”, specializzato in consulenza aziendale è, forse, ancora più drastico di Briatore. Secondo Enrico Cecchini, responsabile del sito, il fallimento sempre più frequente degli operatori sarebbe la conseguenza di errori sistemici dell’imprenditoria italiana. Errori che il mercato non perdona. Questi errori di fondo sarebbero sostanzialmente tre.

Gli imprenditori non prestano attenzione ai cambiamenti dei gusti del cliente
Il primo: dare per scontato il flusso di fatturato dell’azienda. Secondo il senso comune, cioè: i turisti arrivano, sono sempre arrivati e sempre arriveranno. Le imprese non hanno in serbo alcuna una strategia attiva per l’acquisizione di nuovi clienti. Di conseguenza, quando uno dei canali “naturali” di acquisizione viene meno, per i più svariati motivi, l’imprenditore turistico va in sofferenza. E non ha in atto rimedi alternativi.

Gli imprenditori italiani del settore turistico, infatti, rifiutano il cambiamento. Quindi non si aggiornano e non prestano attenzione ai cambiamenti del mercato. Invece, i cambiamenti del mercato e dei gusti del cliente fanno venir meno taluni canali di clientela. Con la digitalizzazione può accadere (come sta accadendo) che il cliente cerchi il servizio in modo differente dal passato. Se gli imprenditori non si sono attrezzati per soddisfare i suoi nuovi gusti, lo perdono.

Gli imprenditori turistici italiani si differenziano solo per i loro difetti
Il secondo errore: apparire come tutti gli altri. Ne consegue che le nostre aziende, dall’esterno, oltre ad apparire tutte uguali, si differenzino solo per i difetti. Questo è soprattutto il caso dei lidi balneari che, non a caso, sono i primi ad essere andati in crisi. Non c’è una strategia digitale. I loro siti internet sono in gran parte trascurati e poco aggiornati. Non compaiono nei motori di ricerca specializzati. Spesso mancano gli estremi per essere contattati.

Quindi l’offerta dei nostri stabilimenti balneari è piatta (uguale per tutti) e soprattutto non valorizzata. Gli imprenditori non si chiedono cosa interessi veramente al cliente e non fanno nulla per soddisfarli. Non navigano in internet, che è pieno di lamentele di clienti insoddisfatti. Rinunciando a priori di servirsi del principale strumento a disposizione per capire i loro gusti. Tanto il cliente viene lo stesso.

Gli imprenditori danno addirittura per scontati gli eventuali optional che offrono. E non li pubblicizzano adeguatamente. Sarebbe invece interessante – secondo Cecchini – che ogni azienda crei un proprio specifico “marchio”, in termini di offerta di servizi. Per differenziarsi dalla concorrenza, soprattutto internazionale.

Terzo errore: la mancanza di una strategia
Terzo errore: lavorare senza una strategia. È l’errore tipico anche di altre tipologie di imprenditori italiani. Si guarda solo al breve termine ma non per il medio e lungo termine. Con il tempo, quindi, il valore di un’impresa cala. Con tutte le conseguenze per quanto riguarda la gestione della stessa.

Il problema del pensiero strategico a breve termine, induce a “copiare” i prezzi dalla concorrenza. Invece il rialzo (o il ribasso) dei prezzi, va giustificato con la comunicazione. Perché il cliente non fa un’indagine di mercato per rendersi conto di quali siano i prezzi effettivi del servizio. Trova i costi aumentati e se ne va da un’altra parte. L’ideale, invece, sarebbe diversificare l’offerta. Lasciare cioè a basso prezzo il servizio che maggiormente attrae la clientela e associare l’aumento dei costi a servizi aggiuntivi. Ciò consentirebbe di convincere (e trasferire) una frazione di clientela fidelizzata a comprare servizi a prezzo più alto.

Ancora: l’imprenditore balneare ha per definizione un orizzonte stagionale, quindi limitato nel tempo. Manca di un pensiero strategico che vada a riempire i tempi morti. La soluzione sarebbe sviluppare servizi che possano essere richiesti nell’intero corso dell’anno. Questo aumenterebbe l’interesse di clienti già in precedenza acquisiti. Tutto ciò rientra nella strategia per la fidelizzazione del cliente. Quella che i balneari, invece non hanno “perché tanto i clienti, ogni estate, tornano lo stesso”. Ma se le spiagge delle vicine Baleari e Canarie, delle isole greche, delle Maldive o delle Seichelles sono piene anche d’inverno, un motivo ci dovrà pur essere.

Da:www.inliberta.it