Cosa fare quando il datore di lavoro non paga la retribuzione

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Roma, 28 ott. (Alessandra Di Bartolomeo, Qui Finanza) – L’articolo 36 della Costituzione italiana sancisce che il “lavoratore ha il diritto di ricevere una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

La durata massima della giornata di lavoro, poi, viene stabilita dalla Legge e il lavoratore ha diritto alle ferie annuali retribuite nonché al riposo settimanale. Cosa fare, dunque, se il datore di lavoro non paga la retribuzione? Quali sono gli obblighi di quest’ultimo e quali azioni il lavoratore può intraprendere in caso non riceva lo stipendio?

Che fare se il datore di lavoro non paga la retribuzione?
Il salario è il compenso per il lavoro svolto e viene stabilito mediante trattativa tra le due parti. È più esattamente il contratto di lavoro che sancisce l’accordo tra il lavoratore e il datore e in esso sono specificate le ore totali nelle quali si lavorerà nonché la retribuzione che verrà riconosciuta. Solitamente, lo stipendio è pagato su base mensile e la data di pagamento è indicata nel contratto. Se quest’ultima coincide con una festività, invece, può essere anticipata o posticipata.

Ricevere una paga, quindi, è un diritto fondamentale di chi lavora e non deve succedere che quest’ultimo ne debba sollecitare il pagamento. Il datore di lavoro, infatti, deve corrispondere lo stipendio entro i termini stabiliti. Nel caso ciò non avvenga, la prima azione da compiere è quella di sollecitare il datore di lavoro in modo amichevole. Si può quindi contattare quest’ultimo o in alternativa il proprio responsabile diretto o l’ufficio del personale. Se la richiesta avanzata in modo informale non produce risultati o se il lavoratore crede che la giustificazione per il ritardo sia insoddisfacente, può trasmettere in forma scritta una lettera di sollecito.

Lettera di sollecito se il datore di lavoro non paga la retribuzione
La richiesta del pagamento dello stipendio può essere inviata in forma scritta mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Si può inoltre consegnarla a mano con conferma di ricezione o inviarla mediante posta elettronica certificata (Pec).

In essa vanno inseriti i dati del lavoratore nonché quelli del datore di lavoro. Nell’oggetto si potrà inserire la seguente formula “Sollecito per mancato pagamento della retribuzione del mese di ….anno…”. Si dovranno poi inserire i dati del lavoratore, la data di assunzione, il nome dell’azienda e che non si è ricevuto lo stipendio mediante il metodo di pagamento pattuito. Si dovrà poi inserire il mese, l’anno, la scadenza fissata per ricevere l’importo e chiedere che entro un numero preciso di giorni dal ricevimento della lettera, vengano forniti dei chiarimenti scritti e dettagliati sui motivi del ritardo. In alternativa, si potrà anche chiedere di procedere al pagamento entro una data stabilita. Infine sarà necessario evidenziare che nel caso di mancata risposta o di mancato pagamento entro il termine indicato, ci si rivolgerà a un consulente esterno per tutelare i propri diritti. A fine lettera andrà quindi inserita la data e la firma. Nel caso in cui la situazione ancora non si sblocchi, cosa fare?

Conciliazione monocratica e decreto ingiuntivo
Qualora i solleciti del legale o del sindacalista non vadano a buon fine o nel caso le motivazioni fornite risultano insufficienti, come comportarsi? Ebbene, il dipendente può fare ricorso all’Ispettorato del Lavoro per avviare una procedura di conciliazione monocratica. Quest’ultima è l’opportunità del lavoratore di discutere la questione con un esperto ispettivo che ascolterà le sue richieste e approfondirà il problema.

Con la conciliazione monocratica, invece, il datore di lavoro potrà capire meglio le richieste del lavoratore e valutare la loro validità. Solitamente quando vi è una convocazione dell’Ispettorato del Lavoro non è necessario che vi sia la presenza di un avvocato o un rappresentante sindacale. Se si raggiunge un accordo, però, è importante che si abbia assistenza legale in quanto vi sono dei pagamenti in essere. Sarà infatti necessario gestire non solo i contributi ma anche gli aspetti previdenziali per cui sarebbe opportuno avvalersi dell’aiuto anche di un consulente del lavoro.

C’è inoltre la possibilità di fare ricorso al Tribunale competente per richiedere un decreto ingiuntivo. Quest’ultimo è un ordine del giudice che, su richiesta del creditore, costringe il debitore a pagare una somma di denaro, una quantità di beni o un oggetto specifico. Si tratta di un metodo veloce e poco costoso che il dipendente può scegliere nel caso in cui non abbia ricevuto lo stipendio o altre indennità. A seguito dell’ingiunzione di pagamento, gli esiti possibili sono tre:
* il datore di lavoro paga quanto dovuto e il procedimento si chiude;
* il datore di lavoro può presentare un’opposizione al decreto ingiuntivo;
* il debitore decide di non fare nulla e resta inattivo.

Nel caso in cui il dipendente continui a non ricevere lo stipendio può poi richiedere supporto al Fondo di garanzia dell’Inps. Quest’ultimo copre fino a 3 mensilità e anche il Tfr ovvero il trattamento di fine rapporto. Infine, si può decidere anche di procedere con un’azione esecutiva e richiedere il pignoramento dei beni mobili/immobili del datore di lavoro.

Quali sono i rischi ai quali va incontro il datore di lavoro?
Se il datore di lavoro non consegna in modo puntuale la busta paga e quindi ritarda la retribuzione, può essere soggetto a una sanzione amministrativa secondo quanto comunica l’articolo 5 della Legge numero 4 del 1953. Essa va da un minimo di 150 euro a un massimo di 900 euro. In più, ha l’obbligo di versare al dipendente la retribuzione indicata nel cedolino. Qualora il datore di lavoro si ostini a ritardare i pagamenti, invece, le sanzioni crescono. Se la violazione riguarda 5 dipendenti o un periodo di 6 mesi, la multa va da 600 fino a un massimo di 3600 euro. Se coinvolge, invece, 10 lavoratori o dura almeno 12 mesi, l’importo della sanzione può arrivare a un minimo di 1200 euro a un massimo di 7200 euro.

Come spiegato, l’articolo 36 della Costituzione comunica che il lavoratore ha il diritto a ricevere una retribuzione per i servizi offerti. Se ciò non avviene, può terminare il contratto di lavoro senza preavviso seguendo le modalità previste dalla Legge. Tale operazione è considerata una “giusta causa” di cessazione del rapporto lavorativo. Nel caso dovesse verificarsi tale situazione, il dipendente potrà accedere ai sussidi di disoccupazione come stabilito dalle regole Inps.

Da: www.quifinanza.it/diritto-del-lavoro/  

Fonte Foto: Bologna Nidi