Assegno familiare anche alla nonna che mantiene il nipote, la conferma con una sentenza

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Roma, 28 nov. (Claudio Garau, Qui Finanza) - La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema che riguarda da vicino le famiglie italiane. Il diritto all’assegno per il nucleo familiare, quando il minore non vive con i genitori ma con altri familiari che, di fatto, provvedono al suo mantenimento.

Con una recente pronuncia della Sezione Lavoro, la n. 28627 depositata il 29 ottobre scorso, la Suprema Corte ha confermato il diritto di una nonna a percepire l’Anf per il nipote convivente, ribadendo un principio cardine: ciò che conta è dimostrare chi realmente mantiene il minore, a prescindere da formali rapporti di parentela o convivenze “sulla carta”.

In breve la sostanza prevale sulla forma, perché di mezzo c’è la tutela di una persona in giovanissima età, che va comunque assicurata indipendentemente dalla composizione del nucleo familiare. Vediamo allora, in modo chiaro,c che cosa ha stabilito la Suprema Corte e perché questa decisione è significativa per i nuclei familiari con figli minori.

La nonna ma niente il nipote: il caso

Al centro della vicenda in oggetto, da cui è scaturita una disputa con l’ Inps, c’era un minore che, a Lecce, conviveva stabilmente con la nonna. Come accertato nel corso del procedimento giudiziario, la donna era anche l’unica persona a provvedere al suo mantenimento e alle sue necessità quotidiane, ossia vitto, alloggio, istruzione, cure. Infatti, né la madre né il padre erano in grado di farvi fronte. Il motivo per cui insorse una lite tra ente previdenziale e familiare del giovane ruotava attorno all’attribuzione del diritto all’assegno per il nucleo familiare. In primo grado, il magistrato competente si era espresso per il riconoscimento della periodica somma in denaro e, sulla stessa linea, si era schierato anche il giudice d’appello pugliese, confermando l’anteriore sentenza.

In particolare, la corte d’appello aveva stabilito che la nonna percepiva una pensione adeguata a garantire il mantenimento continuo del nipote. La madre invece non aveva redditi, salvo un lavoro di due settimane nel 2018 (281 euro complessivi) ed era affetta da una grave patologia, tanto da percepire l’indennità di accompagnamento. D’altro lato, il padre era totalmente assente, non contribuiva economicamente, non viveva con il figlio e non aveva mai chiesto l’assegno in oggetto. Ecco perché i giudici territoriali riconoscevano alla nonna il diritto a percepire l’assegno.

Il ricorso di Inps e la prova della vivenza a carico

La controversia proseguì in Cassazione, perché l’istituto di previdenza impugnò la decisione di secondo grado. Infatti, l’ente non condivideva la decisione, affermando in particolare che:
* la corte d’appello non avrebbe adeguatamente accertato se il minore fosse davvero a carico della nonna;
* sarebbe stata violata la normativa sull’assegno familiare (D.L. 69/1988, art. 2);
* non sarebbe stato applicato il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 Codice Civile.
In sostanza, per Inps, la nonna non avrebbe chiarito il suo ruolo di mantenimento prevalente nei confronti del nipote, ai fini della maturazione del diritto all’Anf.

Cosa significa vivenza a carico secondo la Cassazione

Con la pronuncia n. 28627, la Cassazione ha colto l’occasione per chiarire quello che è un concetto chiave, ossia la vivenza a carico. Infatti, secondo la costante giurisprudenza (Cass. 15041/2024 e Cass. 9237/2018):
* non coincide necessariamente con la convivenza;
* non richiede la totale dipendenza economica del minore da chi chiede l’Anf;
* richiede la dimostrazione rigorosa del mantenimento continuativo e del sostegno economico almeno prevalente.
Non solo. La Suprema Corte ha precisato anche che la dimostrazione della vivenza a carico, può essere fornita tramite presunzioni, senza alcun particolare limite legale. In concreto, non è quindi obbligatorio presentare documenti specifici, se il quadro complessivo è chiaro e non contestato.

Inoltre, la Cassazione ha tenuto a precisare che l’accertamento del requisito della vivenza a carico: è rimesso al giudice di merito ed è incensurabile – se non nei limiti dell’art. 360, co.1, n.5 c.p.c. – in Cassazione. Lo specifico riferimento normativo andava al caso del mancato esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nella disputa in oggetto, l’ipotesi non ricorreva.

La decisione della Cassazione: ragione alla nonna
Con la citata pronuncia, i giudici di piazza Cavour hanno bocciato il ricorso di Inps, confermando quanto già accertato in appello. L’istituto è così tenuto a versare i soldi alla nonna, confermandosi la correttezza logico-giuridica degli accertamenti svolti dal giudice d’appello. Convivenza stabile, capacità economica della pensionata, incapacità economica della madre, priva di reddito e affetta da grave patologia, e totale disinteresse totale del padre, costituiscono gli elementi non contestati dall’istituto di previdenza.

Aspetti decisivi per ricostruire un quadro probatorio palesemente a favore della nonna. In particolare, il giudice di secondo grado: ha concluso rettamente che l’unica persona convivente che da sempre provvede al mantenimento del minore è la nonna. Né può dirsi che non sia stata raggiunta la prova rigorosa chiesta dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di vivenza a carico, poiché il quadro fattuale è di una tale univocità da rendere assolto il canone probatorio preteso. Ecco perché il provvedimento del giudice di merito, quando ricostruisce giustamente i fatti, non può essere contestato in Cassazione.

Che cosa cambia e perché questa ordinanza è importante
La decisione in oggetto è significativa perché rafforza la tutela dei minori che vivono in nuclei familiari “di fatto” e riconosce che chi realmente mantiene il minore può ottenere la prestazione economica di Inps, oggi sostituita dall’assegno unico, anche se non è un genitore naturale o biologico. Al contempo, la pronuncia n. 28627 ribadisce che la prova della vivenza a carico può basarsi su presunzioni e su un quadro fattuale complessivo, ma nitido. In linea generale, la sentenza offre un orientamento utile per tutte le situazioni familiari in cui nonni, zii o altri parenti si fanno carico del mantenimento, al posto dei genitori mancanti per malattia o scelta.

È un messaggio chiaro: l’assegno per il nucleo familiare (oggi sostituito dall’assegno unico) spetta a chi, quotidianamente, assicura viveri, tetto e presenza affettiva al minore, indipendentemente dal suo ruolo formale. Il menzionato principio della vivenza a carico va così interpretato in chiave estensiva e calibrato alla realtà concreta delle famiglie allargate, dove spesso i nonni diventano figure centrali e insostituibili nel mantenimento e nella crescita dei nipoti, anche per una questione di risparmio finanziario. Concludendo, è una decisione di indubbio valore sociale perché — al contempo — dà certezza giuridica e tutela effettiva alle famiglie che vivono situazioni simili.

Da: https://quifinanza.it/lavoro/

Fonte foto: Futuro Pensione