
Roma, 28 mag. (Claudio Garau, Qui Finanza) - Se diamo un’occhiata agli ultimi dati Istat in tema di lavoro dopo i 50 anni, scopriamo una realtà diversa da quella che il senso comune ci porta a immaginare.
Si va in pensione dopo anni e anni di sudata carriera? La risposta è sì, ma con degli importanti distinguo. E il motivo è semplice: ci sono cittadini ai quali i soldi del trattamento previdenziale Inps non bastano ad arrivare a fine mese, persone che – per sostenere le spese quotidiane e far quadrare il bilancio familiare mensile – debbono “reinventarsi”, continuando a lavorare.
Questa è la fotografia scattata da Istat in una recente indagine dal titolo “Pensione e partecipazione al mercato del lavoro dei 50-74enni”, la quale mostra come il confine tra pensione e lavoro stia diventando sempre più sfumato per una parte significativa della popolazione.
Vediamo allora alcuni numeri interessanti e proviamo a rispondere ad alcune frequenti domande, specialmente in chi sta avendo una carriera discontinua e fatta di lavori precari. Ecco perché il lavoro post pensione è una realtà sempre più diffusa, in che modo è possibile svolgerlo e quali contromisure adottare per evitare questa situazione.
L’indagine Istat svela che i pensionati che lavorano sono più di 700mila
Andare in pensione, oggi, non equivale per forza a smettere di lavorare. Tutt’altro. Istat ci dice che nel paese varie centinaia di migliaia di persone tra i 50 e i 74 anni continuano ad avere un lavoro, pur dopo aver maturato il diritto al trattamento Inps. L’età media di pensionamento è sui 61,4 anni, sostanzialmente in linea con la media europea (61,3 anni), ma destinata inevitabilmente a salire a causa dei “buchi” contributivi sempre più diffusi, dell’aumento dell’età pensionabile e della maggior rigidità dei canali di pensionamento, rispetto al passato.
Secondo Istat il 10,8% dei pensionati nell’appena citata fascia d’età dichiara di aver ricominciato a lavorare dopo il pensionamento, per un totale di circa 712.000 cittadini, mentre il 6,3% – circa 418mila cittadini – è oggi occupato in modo stabile. Numeri alla mano, un italiano over 50 su dieci non smette completamente di lavorare anche dopo essere andato in pensione.
Le pensioni basse spingono ad avere un’occupazione in vecchiaia
L’ente previdenziale, oltre a consentire di simulare il futuro importo del proprio assegno pensionistico, offre dati sconfortanti sugli importi dei trattamenti. Secondo un suo comunicato stampa pubblicato lo scorso anno, infatti, l’ammontare medio mensile della pensione di vecchiaia è pari a poco più di 1.460 euro. Non solo. Il 53,7% delle totale delle pensioni ha un importo inferiore a 750 euro e dei circa 9,5 milioni di pensioni con importo inferiore a questa cifra, 4 milioni (il 44%) beneficia di prestazioni legate a bassi redditi, come integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile.
Non dimentichiamo, però, che i contributi versati nel lavoro post pensione, potranno essere utilizzati per aumentare l’importo dell’assegno, facendo domanda per il cosiddetto supplemento di pensione. In parallelo, anche dopo la pensione i redditi da lavoro sono tassati regolarmente, e vanno perciò annualmente dichiarati al Fisco.
Condivisione, voglia di sentirsi giovani, passione: c’è chi da pensionato lavora non solo per motivi economici
Abbiamo appena visto che la motivazione principale è legata alla necessità economica di integrare una pensione bassa, rispetto al costo della vita e all’aumento dei prezzi degli ultimi anni. Ma non è solo questo. Istat spiega infatti che c’è anche chi, nella terza età, sceglie di lavorare per passione, realizzazione personale o per rispondere al bisogno di sentirsi sempre utili o di offrire alla società e ai lavoratori più giovani il proprio ultra-quarantennale bagaglio di esperienza. Ma c’è anche chi lo fa per mantenersi attivo e combattere l’invecchiamento con l’energico svolgimento di un lavoro.
Spesso si sceglie il part time, sottolinea l’Istat. Ci sono poi i lavoratori pubblici che, a particolari condizioni, possono vedersi applicato il trattenimento in servizio ma – in linea generale – un qualsiasi datore non può obbligare un dipendente a lavorare ancora, qualora egli abbia raggiunto i requisiti per pensionarsi. La tendenza a estendere il lavoro dopo la pensione – sintetizza l’istituto nazionale di statistica – è un fenomeno complesso, influenzato da fattori economici, sociali e culturali, e un’opportunità per rivalutare il rapporto tra età, occupazione e pensione. Oggi si vive di più, le energie si conservano meglio e c’è chi sceglie di essere attivo anche dopo i 70 anni.
Occupati e pensionati, tra diritto individuale e limiti di legge
Alla ricorrente domanda “posso lavorare oltre i 67 anni?”, l’età pensionabile per il trattamento di vecchiaia, la risposta è – in generale – positiva e si può lavorare sia da autonomi che da dipendenti, anche se si ha aderito a canali specifici come Opzione Donna. Per legge oggi infatti non ci sono più vincoli rispetto alla possibilità di cumulare i redditi da lavoro con quelli da pensione, eccetto il caso di coloro che hanno sfruttato Quota 103 (così come è stato per Quota 102 e Quota 100). Infatti questi pensionati possono tornare a lavorare regolarmente in via subordinata o con partita Iva – senza vincolarsi alle sole prestazioni occasionali – soltanto dopo i 67 anni di età.
Non solo. Per chi accede a Quota 41 precoci oggi – pena la sospensione della pensione e la restituzione di tutti i ratei percepiti – non è possibile sommare la pensione con redditi da lavoro fino al raggiungimento dell’età della pensione anticipata ordinaria, ossia 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Ecco perché in questo periodo di anticipo è vietata qualsiasi forma di lavoro retribuito, anche occasionale.
Come evitare di lavorare dopo la pensione
Alla luce dei dati Istat sul crescente fenomeno del lavoro post-pensione tra gli over 50 italiani, vediamo infine tre possibili soluzioni concrete per non essere costretti a restare occupati anche dopo il pensionamento. Anzitutto, non bisogna sottovalutare l’utilità di una saggia e anticipata pianificazione previdenziale, tramite una pensione integrativa da costruire lungo tutta la carriera, affiancando alla pensione pubblica strumenti come i fondi pensione (negoziali, aperti o PIP). Questo consentirà di accumulare una rendita aggiuntiva da affiancare a quella Inps, agevolando una pensione senza lavoro.
Al contempo, imparare a gestire le proprie finanze personali già in giovane età, permetterà di evitare sprechi o spese superflue e favorirà investimenti lungimiranti e fruttuosi. L’educazione finanziaria e le capacità di gestione del risparmio costituiscono un bagaglio che aiuta a proteggere i risparmi dall’inflazione, e un patrimonio gestito correttamente potrà compensare il calo di reddito al pensionamento.
Infine, se la strada di un riforma previdenziale che garantisca pensioni più adeguate, dignitose e flessibili appare molto complicata, è pur vero che altre opzioni per non lavorare post pensione sono i versamenti volontari nei periodi di disoccupazione (a particolari condizioni) o il riscatto agevolato della laurea per andare in pensione un po’ prima. La chiave è prevedere, integrare e semplificare: costruire una pensione adeguata, affiancarla con strumenti privati e ridurre le uscite può rendere davvero possibile un pensionamento sereno e senza impegni.
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Fonte foto: Go News