L'eroe-demone di Teti si racconta al Museo archeologico di Cagliari

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Cagliari, 7 nov. (Manuela Arca su: Unione Sarda) - Sono trascorsi 150 anni da quando Giovanni Spano, padre dell'archeologia sarda, presentò agli studiosi e consegnò alla letteratura scientifica internazionale il bronzetto del demone-eroe. Un unicum che ancora oggi si offre a rari confronti. Dotato di quattro occhi, altrettante braccia, due scudi e copricapo cornuto, fu rinvenuto nel 1865 nel santuario di Abini, a Teti, sito che, avendo restituito il maggior numero di bronzi (statuine antropomorfe, animali, navicelle, spade votive, pugnali, panelle ancora da fondere) d'età nuragica, è centrale nella storia degli studi.

Per comprenderne il ruolo, basti pensare che Giovanni Lilliu nel volume "Sculture della Sardegna nuragica" (1966) inserì, su un totale di 276 reperti, 83 manufatti provenienti da quel luogo.

In un momento fortunato, in cui il fascino della civiltà nuragica è rinnovato da Mont'e Prama e dai suoi Giganti, l'attenzione su quel patrimonio deve tornare alta. Si avverte il bisogno di inserire i singoli ritrovamenti in un orizzonte culturale ampio e di leggere la protostoria dell'Isola in maniera unitaria. Alcuni bronzi di Abini-Teti, a questo scopo, sono proposti al Museo archeologico di Cagliari come confronto con la statuaria in pietra attestata a Cabras. Negli ultimi Quaderni della Soprintendenza (numero 26) l'articolo dell'archeologo Matteo Tatti, "Il santuario nuragico di Abini a Teti (Nu). Storie di un sito, di uomini e di un demore-eroe", evidenzia l'importanza di un insediamento che, nonostante abbia visto offuscare la straordinaria fama che ha segnato i decenni successivi alla scoperta, ha ancora tanto da raccontare.

Posto in una pianura poco lontana dal fiume Taloro, «sorta di zona franca, punto di incontro di popolazioni, luogo di preghiera e ringraziamento alle divinità che lì si adoravano», è stato interessato da brevi campagne di scavo. L'ultima, diretta da Anna De Palmas per l'Università di Sassari, nell’estate del 2015. Non è stata però definita la reale estensione del villaggio annesso al santuario in cui tra Età del Bronzo e del Ferro, si celebrava il culto delle acque. Ci si basa sul censimento che nel 1930 fece Antonio Taramelli.

Contava una trentina di capanne. «Restano da individuare le fucine che produssero l'eccezionale quantità di manufatti», sottolinea Tatti. Da decifrare modelli di riferimento del demone-eroe che, partendo da uno schema antropomorfo, sconfina nel mito. «La statuina - osserva l'archeologo - rientra fra quelle attestazioni del sovrumano che caratterizzano la produzione nuragica, accanto alle raffigurazioni di divinità, guerrieri, capi-tribù, sacerdoti e sacerdotesse, semplici popolani, musici o ancora accanto alle rappresentazioni di animali e alle barchette votive che nel complesso costituiscono la sintassi artistica isolana dell'Età del Ferro».

Il confronto è possibile solo con un reperto, proveniente da Abini ma apprezzabile solo attraverso una vecchia foto, e con una statuina di Padria che non mostra però la stessa moltiplicazione di occhi e arti. Gli studi legano la rappresentazione alla destinazione dell'area. Pare «si riferisca a un semplice mortale che avrebbe avuto acuite la vista e la forza fisica delle braccia in seguito a un giudizio ordalico delle acque». O «a un eroe militare in cui avvedutezza, saggezza e forza in battaglia sarebbero sottolineate dalla iterazione degli organi».

Il bronzetto è a Cagliari. A Teti il fascino del sito è integro. In paese è visitabile il Museo archeologico comprensoriale. La raccolta include la riproduzione dei bronzi di Abini, reperti ceramici e la ricostruzione di una capanna nuragica che Maria Ausilia Fadda trovò in località S'urbale. Sotto il crollo recuperò, oltre a utensili, un pavimento in strati di argilla e sughero.

Da: www.unionesarda.it

Fonte foto: Wikimedia Commons