Ti hanno contestato un errore sul lavoro? Hai più diritti di quanto credi

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Roma, 30 mag. (Claudio Garau, Qui Finanza) - Un fulmine a ciel sereno nel rapporto di lavoro non è così infrequente. Un dipendente, finora sempre rispettoso delle direttive aziendali, preciso e puntuale nello svolgimento delle mansioni, si imbatte improvvisamente in una contestazione disciplinare. Al datore di lavoro non è piaciuto un suo comportamento e glielo fa notare con gli strumenti previsti dalla legge.

In chi riceve la comunicazione può subentrare un po’ di disorientamento, se non vero e proprio stupore, specialmente quando – facendo mente locale – non si riesce a capire con precisioni le reali dimensioni di quanto addebitato.

Ecco, in questi casi, chiunque deve reagire con sangue freddo alla contestazione, perché se è vero che ogni lavoratore ha obblighi ben precisi verso l’azienda, al contempo può anche contare su un vasto bagaglio di diritti.

Tra questi quello di capire, avere chiarimenti sulle accuse di scarsa attenzione, negligenza o grave errore tecnico che hanno causato problemi con i superiori, la clientela, i fornitori o altri soggetti terzi rispetto al rapporto. Alla luce di una interessante, e tuttora attuale, pronuncia della Cassazione di qualche anno fa, scopriamo cosa sapere per tutelarsi contro critiche che potrebbero non essere sufficientemente fondate.

Il diritto ad avere spiegazioni della contestazione disciplinare, non bastano le generiche accuse
La calma è la miglior consigliera mentre la reazione di impulso, perché magari presi dal panico o dal nervoso, è sempre controproducente. Lo ha spiegato la Suprema Corte con l’ordinanza 32533/2018 che ha sancito che ogni dipendente può e ha diritto di prendere visione di tutta la documentazione su cui si fonda una contestazione disciplinare.

In sintesi, il caso pratico giunto all’attenzione del Supremo Collegio riguardava un bancario sanzionato che, per difendersi, decise di fare ricorso al Garante Privacy richiedendo di ottenere la comunicazione – dalla stessa banca datrice di lavoro – dei dati personali che lo riguardavano e che erano contenuti in due documenti nelle mani dello stesso istituto di credito.

L’Authority diede il via libera, ma questo non servì a mettere fine alla disputa giudiziaria insorta. Si arrivò fino in Cassazione e, proprio qui, venne ribadito un costante orientamento giurisprudenziale secondo cui l’accesso del dipendente alle informazioni aziendali, per esercitare il diritto di difesa in caso di contestazione disciplinare, non può essere limitato e – anzi – è pienamente compatibile con il d. lgs. 196/2003, il Codice in materia di protezione dei dati personali.

Pur avendo negato l’accesso agli atti, la banca aveva sostenuto la correttezza del suo operato in quanto riteneva di aver dato al ricorrente – con le lettere di contestazione – tutte le informazioni necessarie per difendersi nel procedimento disciplinare. Ma di diverso avviso furono sia il Garante che la Cassazione.

In linea generale, quindi, a qualsiasi lavoratore subordinato non vanno soltanto comunicati l’atto o gli atti che contengono le accuse di violazione, ma anche – e nel dettaglio – le motivazioni, le lamentele del cliente, le critiche di uno dei committenti e così via. Invece, con generiche e pretestuose accuse – talvolta spia o indizio di vero e proprio mobbing – il rapporto di lavoro sarebbe ancor più sbilanciato a sfavore della parte “debole”, per antonomasia il dipendente.

Possibili limitazioni di accesso alle informazioni e obblighi del dipendente

Tuttavia la Cassazione spiegava anche che il datore di lavoro, in applicazione del concorrente diritto alla riservatezza dei dati aziendali, può impedire al dipendente – che pur legalmente accede ai propri dati personali – di venire a conoscenza di informazioni estranee al procedimento disciplinare in corso. Ovviamente la correttezza di tali misure potrebbero, di volta in volta, essere vagliate in tribunale in caso di disputa tra azienda e dipendente.

E già in altre decisioni meno recenti (come ad es. Cass. n. 6337 del 2013), i giudici di piazza Cavour si erano già occupati dell’argomento, sottolineando che:
* l’azienda è obbligata ad agevolare la consultazione dei documenti aziendali, ma soltanto nei limiti in cui l’esame degli stessi sia necessario al fine di garantirgli un’adeguata difesa;
* grava sul dipendente che lamenti la violazione di questo dovere, l’onere di indicare gli specifici documenti utili a difendersi contro le accuse disciplinari.

Due esempi pratici

Per capire meglio l’importanza di questi chiarimenti dei giudici, vediamo ora qualche esempio tratto dalla vita di tutti i giorni. Pensiamo ad es. alla segnalazione negativa di un cliente e alla conseguente contestazione disciplinare per comportamento scorretto.

Ebbene, in casi come questo, il lavoratore ha diritto di sapere con esattezza:
* quale cliente ha segnalato il fatto (o almeno in che data e circostanza si è verificato);
* cosa è stato riferito (testo dell’email, del reclamo o del verbale);
* i contenuti della segnalazione se è messa a verbale.
Infatti, senza avere i dettagli della segnalazione, non potrebbe difendersi efficacemente né spiegare ad es. che non era lui di turno quel giorno o che il cliente si riferiva a un altro collega.

Un altro esempio pratico è quello della presunta negligenza in un controllo di sicurezza su un macchinario. In casi come questo il dipendente ha diritto di:
* visionare il report tecnico in cui si segnala l’omissione;
* conoscere la procedura che avrebbe dovuto seguire e chi era incaricato ufficialmente del controllo;
* richiedere, se del caso, copia delle istruzioni operative e del registro turni, per verificare se era effettivamente suo il compito.

Cosi l’uomo potrebbe ad es. scoprire che il controllo era stato svolto da un altro collega o che le istruzioni erano state modificate, senza una preventiva comunicazione formale.

Accuse ingiuste e rischi mobbing: difenditi con i fatti (e con la legge)

Tutto ciò ci aiuta a inquadrare meglio la portata del diritto di difesa del dipendente accusato dall’azienda. Si ha diritto di prendere visione di tutta la documentazione che giustifica la contestazione, perché nessuna difesa è possibile “a occhi chiusi”. E il datore di lavoro non si espone automaticamente a rischi di violazione delle norme sulla privacy, anzi – con formale richiesta di accesso agli atti – è tenuto a fornire gli elementi utili al dipendente per controbattere.

In questo modo la risposta del dipendente, adeguatamente assistito da un avvocato del lavoro, sarà più solida, precisa e difficile da smontare, aiutandolo a ribaltare le carte in tavola.

Inoltre, non ogni errore sul lavoro giustifica automaticamente un provvedimento disciplinare. Infatti è essenziale valutare il contesto, l’intenzionalità, la colpa, le condizioni operative e le responsabilità organizzative del datore di lavoro. Anzi, se l’errore è stato provocato da istruzioni poco chiare, strumenti inadeguati o mancanza di formazione, la colpa può non essere fatta ricadere solo su un dipendente e quest’ultimo potrà tutelarsi, per far annullare la sanzione.

Da: https://quifinanza.it/lavoro/

Fonte foto:  AdnKronos