Museo dei dolmen. San Pietro, è mai stato a Roma e sono veramente sue le reliquie ritrovate sotto la basilica?

pietropaolo

Roma, 29 giu. (Federico Bardanzellu) -  Come ogni anno, il 29 giugno, si festeggia la ricorrenza dell'apostolo Pietro, insieme a quella di San Paolo. Entrambi sono i compatroni di Roma, essendo stati ivi martirizzati, tra il 64 e il 67 d.C. Il primo crocifisso – sembra – a testa in giù; il secondo decapitato.

Nella chiesa di Santa Maria del Popolo vi sono due eccezionali quadri raffiguranti i compatroni, dipinti dalla mano inimitabile del Caravaggio. Posti uno di fronte all’altro, il primo quadro raffigura la crocifissione di Pietro. Il secondo la conversione di Saulo (Paolo).

Secondo la tradizione, il 29 giugno sarebbe stato proprio il giorno del contemporaneo martirio dei due compatroni. Che Paolo fosse presente a Roma, all’epoca dell’Imperatore Nerone, ce lo attestano gli Atti degli Apostoli. Ma vi è mai stato e martirizzato anche Pietro?

Una critica revisionista delle sacre scritture tende a metterlo in dubbio. Così come molti dubbi vi sarebbero sull’autenticità delle reliquie ritrovate al di sotto dell’altare maggiore della Basilica di San Pietro, che la Chiesa ha attribuito al primo papa. Vediamo perché.

Non c’è alcun richiamo nelle sacre scritture che attesti la presenza di San Pietro a Roma
La fonte principale e di difficile confutazione sulla vita dei primi cristiani, dopo la crocifissione di Gesù sono gli Atti degli Apostoli. Il testo, ancorché non firmato, è attribuito all’evangelista Luca (in base a ragionamenti che tralasciamo). L’autore narra soprattutto la vita di San Paolo che l’evangelista seguì personalmente in molte peregrinazioni. Ebbene, il libro si conclude con l’arrivo di San Paolo a Roma, stimato approssimativamente al 61 d.C.

Da nessuna parte, però, si cita San Pietro come presente, all’epoca, nella Capitale dell’Impero. Nemmeno nella "Lettera ai Romani", che Paolo scrive a Corinto, tra il 55 e il 58 d.C., c'è un saluto al Principe degli apostoli che possa attestarne la presenza a Roma. La conclusione sarebbe semplice: l’arrivo di Pietro a Roma è – quanto meno – successivo a quello di Paolo.

Ma, poi, vi è mai stato a Roma, San Pietro? Più di uno scrittore cristiano dei secoli II e III cita la sua presenza nella Città Eterna, nei primi anni dell’imperatore Claudio (41-48 d.C.). Sappiamo poi che, nel 49 d.C., l'imperatore Claudio espulse tutti i giudei-cristiani da Roma e lo stesso anno troviamo Pietro impegnato nei lavori del Concilio di Gerusalemme. Poi sarebbe giunto nella sua prima sede vescovile, cioè Antiochia di Siria. Probabilmente, quindi, ci potrebbe essere stato un primo soggiorno di Pietro, nella capitale dell'Impero, precedente alla lettera di Paolo ai Romani (55-58 d.C.).

Tuttavia, per affermare il ritorno a Roma del principe degli apostoli, bisogna rifarsi alla prima delle sue due lettere. Questa sarebbe stata dettata dall’illetterato ex pescatore a tale Silvano ed indirizzata a varie comunità cristiane dell’Asia Minore. Silvano è un nome latino e il suo possessore potrebbe benissimo aver scritto a Roma. Nella lettera, poi, Pietro dice chiaramente di trovarsi a “Babilonia”.

Una serie di ipotesi su pochi dati certi
E’ evidente che la Babilonia della lettera di Pietro non può essere l’antica città della Mesopotamia. Questa nel I secolo era in mano ai Parti e aveva perso ogni particolare importanza geopolitica o religiosa. Non poteva essere Antiochia, perché non si capisce il motivo per cui San Pietro avrebbe chiamato in tal modo la sue sede vescovile. Può essere soltanto Roma, assimilata per i propri vizi all’antica capitale mesopotamica, sede della prigionia del popolo ebraico nel V secolo a.C.

Dando quindi per buono tale documento, Pietro sarebbe effettivamente tornato a Roma, ma dopo la morte di Paolo. In nessun lettera scritta a Roma dall'Apostolo delle Genti, infatti, si cita Pietro. Nemmeno in quella di estremo saluto, scritta nell'imminenza della sua decapitazione a Timoteo. Secondo alcuni studiosi, quindi, Pietro sarebbe vissuto a Roma solo gli ultimi mesi della sua esistenza e poi anch'egli martirizzato. La data del martirio, secondo Margherita Guarducci, non dovrebbe essere posteriore all’ottobre del 64 d.C., cioè poco dopo l’incendio neroniano di Roma. Quindi: niente 29 giugno e nessuna contemporaneità di data con la morte di Paolo.

Sorge ora il problema delle reliquie. Secondo la tradizione, Pietro sarebbe stato crocifisso sul Gianicolo, nel luogo dell’attuale tempietto di San Pietro in Montorio. Il suo corpo sarebbe stato sepolto nella necropoli vaticana, come era uso per gli ebrei e i primi cristiani di Roma. A questo punto la storia si complica. Si tramanda che, durante la persecuzione di Valeriano (257-258 d.C.) le ossa di Pietro e Paolo siano state trasferite nelle Catacombe.

In effetti, su un muro della catacomba di San Sebastiano sono stati trovati centinaia di graffiti risalenti al 250-330 d.C., con invocazioni agli apostoli Pietro e Paolo. Ciò confermerebbe che in tale periodo le reliquie dei due compatroni di Roma fossero ivi oggetto di culto.

D'altronde, anche nella vicina catacomba di San Callisto erano state poste le tombe dei papi immediatamente successivi a San Pietro. Poi però, una volta autorizzato il culto cristiano con l'Editto di Milano del 313 d.C., le spoglie dei due compatroni di Roma sarebbero state ricomposte nelle  originarie tombe, al di sopra delle quali furono realizzate le rispettive basiliche.

Petros Eni: San Pietro è qui!

Nel 1940, infatti, gli archeologi rinvennero un edicola funebre della necropoli vaticana, posta perfettamente in asse con l’altare maggiore della Basilica e la cupola di san Pietro. All’epoca le edicole di quel genere erano realizzate per commemorare un defunto famoso. La sua posizione sembra indicare chiaramente una correlazione tra la basilica dedicata al primo Papa e quell’edicola funebre, risalente, però al 160 d.C. La data è comunque precedente ai graffiti rinvenuti nella catacomba di San Sebastiano.

Per trovare l’edicola, gli archeologi hanno dovuto sfondare un muro rosso sul quale era posta una scritta in greco, con caratteri del secondo secolo: Petros Eni. Cioè: “Pietro è qui”. Scavando ancora si trovò un ossario con alcuni resti di un personaggio sui 60-65 anni, avvolti in un mantello di porpora. La porpora voleva indicare la particolare importanza del defunto.

Resta il problema della compatibilità della presunta appartenenza a Pietro di tali reliquie con il culto della memoria dei compatroni nella catacomba di San Sebastiano. In ogni caso, c'è ancora un "buco cronologico" che va dalla morte di Pietro (64 d.C.) alla realizzazione dell'edicola funebre presa come asse della basilica (160 circa).

La vicenda ha poi preso i contorni di un nuovo “giallo” all’italiana. L’operaio che nel 1942 aveva trovato i reperti, li aveva messi in una scatola di scarpe, per poi consegnare il tutto all’economo di San Pietro. Solo nel 1965, a richiesta degli archeologi, il solerte funzionario li mise a disposizione per un esame scientifico. Allo stato, un'indagine al radiocarbonio che ne accerti la datazione e quella sul Dna non risultano ancora autorizzate. Insomma, con tutti questi trasferimenti di reliquie da una parte all'altra di Roma e del Vaticano, una domanda si pone: sono veramente quelle le reliquie di Pietro?

La Chiesa cristiana lascia questi dubbi alla laicità degli scienziati. Le reliquie dei Santi o presunte tali possono avere un significato "politico", accanto a quello religioso. Il 29 giugno 2019, infatti, Papa Francesco, a significare un'unica derivazione delle Chiese cristiane dall'autorità di Pietro ha donato alcune di queste reliquie al Patriarca ortodosso di Costantinopoli. Questi le ha accettate con grande considerazione, quasi a significare la sua sottomissione al successore del principe degli apostoli sul soglio pontificio.

Fonte foto: Guardaroma