Bancari, vecchio contratto congelato. La mina dello sciopero è dietro l'angolo

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Roma, 29 gen. (Andrea Deugeni, Affari Italiani) - Il presidente dell’Abi esprime fiducia. Secondo Antonio Patuelli, il rinnovo del contratto di lavoro di 300.000 bancari sarà un confronto sereno. Il numero uno dell’Associazione delle banche italiane ha parlato di “spirito costruttivo”.

Il riferimento è all’intesa che le sigle e la stessa Confindustria del credito hanno appena trovato per avviare il negoziato sul nuovo contratto, scaduto lo scorso 31 dicembre. La sintesi di Patuelli, tuttavia, corre il rischio di essere precaria.

La faccenda, in realtà, è un po’ più complicata e vale la pena – visti gli interessi in ballo – spiegarne tutti i dettagli fino in fondo. Abi e sindacati hanno sostanzialmente congelato il vecchio contratto fino al prossimo 28 febbraio. Non si tratta di un rinvio né di una proroga (che gli stessi istituti avrebbero pure auspicato, peraltro più lunga) perché il pagamento completo del Tfr resta comunque bloccato con decorrenza 1 gennaio 2019.

In sintesi: o entro febbraio le banche trovano un accordo col sindacato o saranno costrette a riconoscere il Tfr pieno ai 300.00 lavoratori. L’intesa ha un obiettivo preciso: definire entro un mese un accordo sul cammino da far percorrere alle parti per porre le basi del nuovo contratto. In particolare, dovranno essere individuati gli argomenti principali e quelli che più stanno a cuore alle parti che poi rappresenteranno i “fondamentali” del nuovo contratto insieme alla piattaforma rivendicativa che i lavoratori dovranno approvare nelle loro assemblee.

Con questa mossa, dal canto suo, l’Abi pensa di aver fatto la scelta migliore: a Palazzo Altieri sono convinti di aver conquistato un altro mese di trattamento di fine rapporto scontato (perché col precedente contratto era stato ridotto il cosiddetto imponibile, grazie al congelamento di alcune voci dalla base di calcolo).

È probabile, però, che i banchieri, ieri, abbiano sottovalutato la posizione delle organizzazioni sindacali, tendente soltanto a prendere tempo in modo da avere estremamente chiaro lo scenario da affrontare. I messaggi e i numeri squadernati nell’incontro di ieri - dai segretari generali di Fabi, First Cisl e Fisac Cgil, Lando Sileoni, Riccardo Colombani e Giuliano Calcagani – sono chiari: i sindacati dei bancari hanno messo sul tavolo non solo le condizioni per ottenere il Tfr pagato al 100%, ma anche per poter recuperare l’inflazione persa sui salari.

È chiaro che il prossimo mese di febbraio sarà determinante per l’assunzione di responsabilità che le parti dovranno reciprocamente prendersi. L’analisi dei sindacalisti si è concentrata sul ritorno agli utili delle banche, sugli ottimi risultati di gestione e sulla riduzione delle spese per il personale. E poi c’è il confronto internazionale, che vede l’industria bancaria italiana meglio posizionata, rispetto alla media europea, nella classifica sul costo del lavoro in relazione ai ricavi.

Inoltre, i sindacati hanno rimarcato come questo governo non intenderà più intervenire nelle crisi bancarie: i problemi o saranno risolti all’interno del settore o esploderanno facendo vittime e danni. Sulla parte economica, insomma, i sindacati hanno puntato i piedi con decisione: l’era dei tagli all’occupazione è finita. Né potrà essere invocato il dossier sofferenze, ormai portate sotto i livelli di guardia, sotto quota 40 miliardi di euro. Certo, al netto delle richieste Bce appena fatte ai singoli istituti.

Una strategia, quella delle organizzazioni dei lavoratori, che di fatto costringe l’Abi a chiudere, entro il 28 febbraio, l’intesa sul percorso e sugli argomenti da affrontare nel nuovo contratto nazionale. Parallelamente, le sigle metteranno a punto la piattaforma unitaria, che dovrà passare, come prescritto, per le assemblee dei lavoratori. E, su questo aspetto, è certamente da prevedere una forte accelerazione.

I grandi gruppi bancari guardano con interesse la partita. Spettatore (si fa per dire) principale è Intesa-Sanpaolo (il primo istituto di credito in Italia per numero di dipendenti - circa 67.400) che ha la necessità di condividere col sindacato a livello nazionale la figura del lavoratore ibrido (50% bancario e 50% promotore) che il gruppo guidato da Carlo Messina sta già utilizzando e ora è alla ricerca dalla copertura "politica" in Abi. Copertura che le altre banche cercano, condividendo col sindacato, per quanto riguarda le nuove figure professionali legate alla trasformazione tecnologica e ad altre nuove attività.

Sulla condivisione delle nuove figure professionali sembra esserci una certa reciproca sensibilità, che però andrà verificata nel concreto. Una distanza più marcata, invece, resta sulla parte economica: i sindacati vogliono strappare più soldi, le banche vogliono darne di meno. Il negoziato è legato alla scadenza del 28 febbraio: senza accordo, dopo la presentazione della piattaforma, la conflittualità inevitabilmente esploderà.

Se da un lato il gruppo Intesa potrà trovare resistenze da parte di altri gruppi bancari che hanno altri interessi e preferiscono un modello di banca e una organizzazione del lavoro diversa dalla sua, fra i sindacati – come è noto agli addetti ai lavori – saranno certamente le sigle più rappresentative a determinare le scelte per la categoria e anche per il settore bancario, con la Fabi in testa.

Il mese di febbraio, dunque, sarà determinante perché il confronto dovrà inevitabilmente prendere una piega: o le parti determineranno la condivisione degli argomenti più strategici e delicati del settore da affrontare insieme oppure, inevitabilmente, prevarrà la conflittualità. Che metterà in seria difficoltà i gruppi bancari.

A subirne le conseguenze maggiori sarà proprio il gruppo Intesa che potrebbe essere gioco forza costretta a rivedere le proprie strategie.

Da: www.affaritaliani.it

Fonte foto: Ravenna e dintorni