La decrescita demografica ed occupazionale compromette il futuro del nostro Paese

Roma, 18 apr. (Federico Bardanzellu, InLibertà). Decrescita demografica in Italia. Le previsioni sul futuro demografico del Paese, secondo i rapporti Istat, mostrano tendenze negative difficilmente reversibili. In primis il calo della popolazione. Ne conseguono la diminuzione del rapporto tra giovani e anziani e la diminuzione del rapporto tra lavoratori e inoccupati. Inoltre i dati indicano una progressiva accentuazione, con gli anni, delle tendenze negative sopra indicate.

La popolazione residente è già scesa nel 2021 sotto i 60 ml abitanti, nonostante l’apporto degli immigrati. Scenderà a 58 ml nel 2030 e a circa 54,5 nel 2050. Una decrescita demografica di oltre 5,5 ml abitanti in poco più di 25 anni (-0,33% annuo). Se proiettiamo le previsioni il numero di nascite non compenserà quello dei decessi persino nello scenario più favorevole. Nel 2080, infatti, si scenderà a meno di 46 ml di abitanti.

La risposta è tutta nella “filosofia” che Putin si è dato negli ultimi anni per definire il ruolo del suo paese nello scenario mondiale del XXI secolo. Una visione che è crollata insieme alle macerie della Crocus City Hall.

La decrescita sarà insostenibile nelle aree interne del Sud e delle Isole
All’interno di tale scenario di decrescita si nota anche quello dell’invecchiamento progressivo della popolazione. Tale processo, in base ai rapporti ISTAT, presenta caratteristiche contrapposte tra Centro-nord e Mezzogiorno e tra aree interne e centri abitati. Il risultato più visibile mostra lo spopolamento di numerosi territori del Sud e delle Isole. La crisi demografica, quindi, risulterebbe relativamente sostenibile nei centri abitati del centro nord. Ma si rivelerà abissale soprattutto nelle aree interne del Meridione.

La Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato (Cgia) ha incrociato tali dati con quelli relativi alla popolazione attiva. Ne è emerso che sempre meno giovani occuperanno i posti di lavoro. L’invecchiamento della popolazione comporterà la riduzione dell’8,1% delle persone in età lavorativa nei prossimi dieci anni. Tale platea, stimata a poco meno di 37,5 ml all’inizio del 2024, scenderà a 34,5 ml. In sostanza, ci saranno in Italia altri 3 milioni di lavoratori in meno.

I numeri in base a province e regioni
Dal punto di vista geografico, la Cgia conferma una decrescita evidente soprattutto per i lavoratori del Sud e delle Isole. A livello regionale le regioni meno interessate alla decrescita dell’occupazione sono la Lombardia con il -3,4%, il Trentino–AltoAdige con il -3,1% e l’Emilia Romagna con il -2,6%. L’unica provincia con il segno più (+0,75%) è Prato. Milano con il -2%, Bologna con il -1,1% e Parma con il -0,3% sentiranno meno degli altri il calo demografico dei lavoratori attivi. Ma tali realtà territoriali presentano un tasso di popolazione straniera molto elevato. È questo il fattore che incide positivamente sulle nascite e abbassa l’età media in tali territori.

Le contrazioni più elevate della popolazione in età lavorativa invece si registreranno in Basilicata con una riduzione del 14,6%. Seguono la Sardegna con il -14,2%, la Sicilia con il -12,8% e la Calabria con il -12,7%. In numeri assoluti la diminuzione dei lavoratori in quest’ultime tre regioni sembra difficilmente sostenibile. Si tratta infatti di più di 110mila unità in Sardegna, quasi 400mila in Sicilia e quasi 150.000 in Calabria. La Sardegna, inoltre, colloca tre delle sue province in coda alla classifica nazionale. Nuoro con il -17,6 per cento, Sud Sardegna con il -17,5 per cento e Oristano con il -16,9 per cento.

La decrescita comporterà una ridefinizione dei settori produttivi
L’invecchiamento della popolazione determinerà un cambiamento della destinazione degli investimenti. Anche se ci sarà sicuramento un incremento degli addetti nel settore dei servizi alla persona e agli anziani. Ne beneficerà soprattutto quella che già si comincia a definire come la “silver economy”. Parte della produzione che non potrà più essere commercializzata in Italia, per riduzione della domanda, dovrà necessariamente essere esportata.

È uno dei motivi per cui le medie e le grandi imprese, per la loro maggior propensione all’esportazione, potranno avere dati negativi più contenuti. Terranno bene le banche, per la maggior propensione al risparmio della popolazione senile. Meno Pil, invece, dai settori dell’immobiliare, della moda e dei trasporti. Il settore dell’accoglienza sarà sempre più rivolto ai visitatori stranieri.

Per le micro e le piccole imprese, invece, sarà una mazzata. Che si aggiunge ai fenomeni in atto della transizione energetica e di quella digitale. Soprattutto al sud e nelle isole si prevede una desertificazione economica dei territori.

Solo con un efficiente sistema formativo si potrà compensare la decrescita occupazionale
Se alla recessione demografica si aggiungono i danni derivati dalla presente instabilità geopolitica, la nostra economia è destinata a subire contraccolpi spaventosi. Non vogliamo fare le “cassandre”, ma difficilmente i bonus statali dedicati alla natalità e al supporto della genitorialità potranno contenere il trend demografico negativo.

L’immigrazione potrà compensare la diminuzione della forza lavoro interna. Ma è su quest’ultimo fronte che bisogna agire affinché i nostri giovani siano in grado di soddisfare le richieste di professionalità delle imprese. La formazione professionale deve consentir loro di acquisire crediti professionali, spendibili sul mercato. Così da essere avviati al lavoro in base alle necessità reali. Ne va della salvezza del sistema e dell’Azienda Italia.

Da: www.inliberta.it